Articolo sul mio rapporto con la radio scritto per la tesi di laurea "sketch a tune" di Giovanna Nicosia (marzo 2008)
Parlare del mio rapporto con la radio è come rimettere a posto lo scaffale della mia vita, le città, gli amici, le scoperte e soprattutto le musiche e l’innamoramento.
Prima come ascoltatore poi come conduttore tutto cominciò negli anni ’80, c’era la “new wave”, e si cercava di seguire l’onda. Trasmissioni come “Nocturnal Emission” mi hanno aperto un mondo, un onda che ho surfato, in cui mi sono immerso, che ho inseguito per le città di mezza europa a caccia di dischi, di concerti, di situazioni.
La radio l’ascoltavo dentro un armadio, nel senso che avevo ostruito la porta della stanza con un armadio al quale avevo tolto il fondo. Entrare nell’armadio era entrare nei segreti più intimi e poi rinchiudersi là dentro con gli amici era come stare nel video di “Close to me” dei Cure solo che l’armadio invece di riempirsi d’acqua si riempiva di suoni.
1985, una sera a Padova, i Cure in concerto. Stato di grazia. Un teen ager tra eccitazione e malinconia decide che deve comunicare la sua passione, la sua emozione venata di inquietudine, e la radio, sarà il mezzo.
Qualche anno dopo nasce la mia trasmissione mentre alle puntine dei giradischi si cominciava a sostituire il laser dei compact disc, la comunicazione con gli ascoltatori viaggiava ancora via telefono e lettera, ma l’era elettronica era dietro l’angolo.
L’ atmosfera in radio (radio sandonà) era quella dell’armadio, luci basse e musica a tutto volume in cuffia, ma c’era lui con quella spugna gialla da urlo che scendeva sul mixer: il microfono. Mi sorpresi perché sono un timido e sicuramente il più taciturno della compagnia, ma davanti alla spugna gialla mi scioglievo e dicevo cose che forse non sarebbero uscite senza quel tramite. Mi resi conto di avere degli ascoltatori solo dopo la prima lettera ricevuta, era il 1989 ed ero troppo giovane e in stato confusionale per capire che da quel momento non avrei più smesso di trasmettere.
Gli anni novanta furono una deriva straordinaria, la rivoluzione elettronica, la disgregazione delle identità che hanno fatto l’ossatura del ventesimo secolo, la comunicazione globale e musicalmente la fine delle onde musicali.
Non ci sono più new wave e neppure no-wave, perché l’onda è il mondo stesso, la musica è infinita e provoca il mal di mare, internet, la digitalizzazione, rende tutto più complesso (più ricco?!)
Ma nonostante questo oceano burrascoso non rinuncio alla dolce deriva, creando mappe di svincolamento, vie di uscita dall’accelerazione tecno-mondana, dove la mente, il corpo trovi il respiro giusto per continuare il viaggio dentro il suono.
Nasce “Diserzioni”, sapendo che non ci sono onde da seguire ma mappe da disegnare.
Ci sono suoni, voci, persone che ci serve ritrovare quando si è perduti nel caos, perchè fanno parte di noi, ti permettono di concatenare, di trovare il giusto ritmo.
E cosi strada facendo ho trovato Radio Sherwood, per me una radio mitica, molti ascoltatori diventati poi collaboratori e soprattutto coloro che mi fecero appassionare alla radio, ovvero Mirco e Massimo di “Nocturnal Emission”.
”Diserzioni” diventa anche “vs Nocturnal Emission” indagando su ritorni, vagabondaggi, pulsazioni, cercando l’eco dei suoni disseminati nell’era globale, creando (im)probabili rotte di viaggio.
La radio oggi, secondo me, nel tempo dell’iper-produzione semiotica deve essere capace di andare al ritmo imprevedibile della dolce deriva, ed cartografare suoni ed emozioni a venire.
Parlare del mio rapporto con la radio è come rimettere a posto lo scaffale della mia vita, le città, gli amici, le scoperte e soprattutto le musiche e l’innamoramento.
Prima come ascoltatore poi come conduttore tutto cominciò negli anni ’80, c’era la “new wave”, e si cercava di seguire l’onda. Trasmissioni come “Nocturnal Emission” mi hanno aperto un mondo, un onda che ho surfato, in cui mi sono immerso, che ho inseguito per le città di mezza europa a caccia di dischi, di concerti, di situazioni.
La radio l’ascoltavo dentro un armadio, nel senso che avevo ostruito la porta della stanza con un armadio al quale avevo tolto il fondo. Entrare nell’armadio era entrare nei segreti più intimi e poi rinchiudersi là dentro con gli amici era come stare nel video di “Close to me” dei Cure solo che l’armadio invece di riempirsi d’acqua si riempiva di suoni.
1985, una sera a Padova, i Cure in concerto. Stato di grazia. Un teen ager tra eccitazione e malinconia decide che deve comunicare la sua passione, la sua emozione venata di inquietudine, e la radio, sarà il mezzo.
Qualche anno dopo nasce la mia trasmissione mentre alle puntine dei giradischi si cominciava a sostituire il laser dei compact disc, la comunicazione con gli ascoltatori viaggiava ancora via telefono e lettera, ma l’era elettronica era dietro l’angolo.
L’ atmosfera in radio (radio sandonà) era quella dell’armadio, luci basse e musica a tutto volume in cuffia, ma c’era lui con quella spugna gialla da urlo che scendeva sul mixer: il microfono. Mi sorpresi perché sono un timido e sicuramente il più taciturno della compagnia, ma davanti alla spugna gialla mi scioglievo e dicevo cose che forse non sarebbero uscite senza quel tramite. Mi resi conto di avere degli ascoltatori solo dopo la prima lettera ricevuta, era il 1989 ed ero troppo giovane e in stato confusionale per capire che da quel momento non avrei più smesso di trasmettere.
Gli anni novanta furono una deriva straordinaria, la rivoluzione elettronica, la disgregazione delle identità che hanno fatto l’ossatura del ventesimo secolo, la comunicazione globale e musicalmente la fine delle onde musicali.
Non ci sono più new wave e neppure no-wave, perché l’onda è il mondo stesso, la musica è infinita e provoca il mal di mare, internet, la digitalizzazione, rende tutto più complesso (più ricco?!)
Ma nonostante questo oceano burrascoso non rinuncio alla dolce deriva, creando mappe di svincolamento, vie di uscita dall’accelerazione tecno-mondana, dove la mente, il corpo trovi il respiro giusto per continuare il viaggio dentro il suono.
Nasce “Diserzioni”, sapendo che non ci sono onde da seguire ma mappe da disegnare.
Ci sono suoni, voci, persone che ci serve ritrovare quando si è perduti nel caos, perchè fanno parte di noi, ti permettono di concatenare, di trovare il giusto ritmo.
E cosi strada facendo ho trovato Radio Sherwood, per me una radio mitica, molti ascoltatori diventati poi collaboratori e soprattutto coloro che mi fecero appassionare alla radio, ovvero Mirco e Massimo di “Nocturnal Emission”.
”Diserzioni” diventa anche “vs Nocturnal Emission” indagando su ritorni, vagabondaggi, pulsazioni, cercando l’eco dei suoni disseminati nell’era globale, creando (im)probabili rotte di viaggio.
La radio oggi, secondo me, nel tempo dell’iper-produzione semiotica deve essere capace di andare al ritmo imprevedibile della dolce deriva, ed cartografare suoni ed emozioni a venire.
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