Alcuni fatti dell’ultimo periodo, e la domanda sempre presente riguardo i giovani e il loro rapporto con la musica, mi hanno spinto a tornare sul “nostro” rapporto con questa forma artistica.
Con “nostro” intendo della generazione cresciuta con ascolti consapevoli, scelti e pagati profumatamene. Ci siamo fatti fuori interi stipendi per costruirci la nostra cultura musicale.
La musica è sempre stata per noi molto più di semplice evasione.
Semmai dovremmo parlare di diserzione, sottrazione, via di fuga dell’anima e nascondiglio dove rilassare il corpo.
Anche quando il corpo era intrappolato nella vita reale, l’anima e la mente sapevano che c’era rifugio nella musica. Questo creava comunanza, sensibilità comuni, identità con altri estranei all’omologazione.
Insomma era facile trovarsi anche se minoranze resistenti.
I tempi sono cambiati, le nuove generazioni hanno radicalmente cambiato il modo di usufruire della cultura musicale. Adesso è accessibile a tutti, fortunatamente.
La musica è un flusso continuo, un’enorme ricchezza, ma anche cimiteri di file che popolano gli hard disc di milioni di giovani che non ne sanno godere.
Ora che l’anima e la mente è sempre connessa e messa al lavoro è possibile quella sottrazione che la “nostra “ musica ci ha sempre permesso?
Ora che siamo sommersi di suoni, spersi nell’oceano di dati che ogni giorno ci attraversano è possibile trovare il buon rifugio rilassato, è possibile la fuga dal mondo cellularizzato e connesso 24 ore su 24?
La musica può essere ancora diserzione critica?
Forse no.
Perché la prima generazione videoelettronica non è più capace di estraniarsi, di rilassare il corpo.
Perché la prima generazione che riceve più informazioni da macchine che da suoi simili non riesce più a godere del contatto e nemmeno dell’autonomia della solitudine.
Perché la comunità obbligatoria impedisce di restar soli e allo stesso tempo questo affollamento privo di corpi è oppresso dalla solitudine.
Come portare il nostro portato di passione per il suono in questo desertoceano?
Mi sembra che il problema sia la sottrazione dalla massa infinita di rumore, ricreare le condizioni per l’ascolto del silenzio, per un ritrarsi.
Silenzio! Così finisce un film di David Lynch, e sembra di esserci dentro a quel film, storditi e dispersi naufraghi in miriadi di sensazioni.
E allora prepariamo la zattera e buttiamoci nell’oceano di suono, creando scie sonore dove sia più dolce la deriva, dove si impari nuovamente il calore dei suoni.
Salite a bordo non avete da perdere che i vostri cellulari.
Con “nostro” intendo della generazione cresciuta con ascolti consapevoli, scelti e pagati profumatamene. Ci siamo fatti fuori interi stipendi per costruirci la nostra cultura musicale.
La musica è sempre stata per noi molto più di semplice evasione.
Semmai dovremmo parlare di diserzione, sottrazione, via di fuga dell’anima e nascondiglio dove rilassare il corpo.
Anche quando il corpo era intrappolato nella vita reale, l’anima e la mente sapevano che c’era rifugio nella musica. Questo creava comunanza, sensibilità comuni, identità con altri estranei all’omologazione.
Insomma era facile trovarsi anche se minoranze resistenti.
I tempi sono cambiati, le nuove generazioni hanno radicalmente cambiato il modo di usufruire della cultura musicale. Adesso è accessibile a tutti, fortunatamente.
La musica è un flusso continuo, un’enorme ricchezza, ma anche cimiteri di file che popolano gli hard disc di milioni di giovani che non ne sanno godere.
Ora che l’anima e la mente è sempre connessa e messa al lavoro è possibile quella sottrazione che la “nostra “ musica ci ha sempre permesso?
Ora che siamo sommersi di suoni, spersi nell’oceano di dati che ogni giorno ci attraversano è possibile trovare il buon rifugio rilassato, è possibile la fuga dal mondo cellularizzato e connesso 24 ore su 24?
La musica può essere ancora diserzione critica?
Forse no.
Perché la prima generazione videoelettronica non è più capace di estraniarsi, di rilassare il corpo.
Perché la prima generazione che riceve più informazioni da macchine che da suoi simili non riesce più a godere del contatto e nemmeno dell’autonomia della solitudine.
Perché la comunità obbligatoria impedisce di restar soli e allo stesso tempo questo affollamento privo di corpi è oppresso dalla solitudine.
Come portare il nostro portato di passione per il suono in questo desertoceano?
Mi sembra che il problema sia la sottrazione dalla massa infinita di rumore, ricreare le condizioni per l’ascolto del silenzio, per un ritrarsi.
Silenzio! Così finisce un film di David Lynch, e sembra di esserci dentro a quel film, storditi e dispersi naufraghi in miriadi di sensazioni.
E allora prepariamo la zattera e buttiamoci nell’oceano di suono, creando scie sonore dove sia più dolce la deriva, dove si impari nuovamente il calore dei suoni.
Salite a bordo non avete da perdere che i vostri cellulari.
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