domenica 14 agosto 2011

Bass generation: l'effetto budino del dubstep


C'è un suono che da dieci anni scuote Londra e fa vibrare l'etere delle radio pirata della capitale Inglese. Da simbolo della fine dell'epoca rave a colonna sonora di queste riottose giornate.

La fine della deriva collettiva dei rave ha avuto un suo requiem nel suono dub, sedativo dell'euforia elettronica degli anni 90, cominciato con la techno- dub “chain reaction style” e arrivato nei mille rivoli del dubstep. Le crisi e il progressivo taglio del welfare hanno reso instabile il terreno dove le culture underground si muovevano, l'euforia e la vicinanza emotiva dell'ecstasy è stata sostituita con il tranquillo distacco dell'elettronica d'ascolto.
Ma con il ritorno a casa riaffiorano le inquietudini e si ricomincia a guardare i topi che vanno in giro per la propria stanza. Ecco allora che beat pesanti e oscuri escono dalle stanze più nascoste della metropoli e dalle sempre attive radio pirata.
I movimenti dubstep sono profondi, sembrano immersi in una palude, si muovono lenti, una violenza soppressa che ribolle nel fondo, arriva attutita in superficie.
Gli allungamenti dei bassi tracciano una linea mentre tutto intorno sembra traballare, linea che sembra poter assorbire l'inquietudine della vita precaria.
L'effetto budino, trema di contraddizioni ma non rompe, resta all'interno di vite ai margini, è “Margins Music” come recita il titolo dell'album di Dusk & Blackdown, uno dei manifesti del genere.
Il romanticismo e la malinconia collide con i significanti sonori di paura / tensione / apocalisse / buio brandito dalla musica e nei titoli delle traccie, eppure convivono.
Le ricognizioni interne (Ballardiane) che nella scena “ambient isolazionista” avvenivano attraverso suoni legati a luoghi di pura natura come l’antartico per Thomas Koner o Biosphere, oppure attraverso oceani o deserti, nel dubstep avvengono nei luoghi urbani, di certo molto abitati, ma altrettanto "vuoti", come le disagiate e desolate periferie delle nostre metropoli.
Le voci che compaiono/scompaiono in mezzo al fangoso, nebbioso suono sembrano anch'esse muoversi in terreno instabile, precario, come nella foschia di una palude.
Insomma è suono che assorbe molto e restituisce poco, ma accumula tensioni che non vivono solo il basso delle periferie ma anche nel vuoto delle camere dei campus.
Le zanzare escono dalla palude e diffondono il virus, produttori come Burial e Kode9 e la loro label hyperdub diventano di fama internazionale, pur mantenendo un stretto contatto con le origini, le insurrezioni invisibili (the invisible insurrection titolo di uno dei migliori album del 2011 nel genere) cominciano a farsi vedere.
Questo risuonare profondo, melmoso così si contamina e dal fondo risale, il virus dei bassi allungati coinvolge i generi più disparati, dall'elettronica sperimentale, al post rock, fino al pop più attento. Diventa il mutante per eccellenza, senza un modello riconoscibile se non la marea di bassi che scuotono e vibrano.
E' l'hype degli ultimi anni, ma attenzione perchè le vibrazioni ovattate dell'interno della palude in superficie potrebbero avere l'effetto di un tsunami. L'amplificazione sismica dell'effetto budino per chi non è dentro ma sopra è devastante.

sabato 6 agosto 2011

Trapassatofuturo


Da tempo ho la sensazione che gran parte dell' iperproduzione sonora attuale sia paralizzata dall’enorme quantità di impulsi sonori che la bersagliano, e incapace di costruire progetti di deriva collettiva che non siano quelli, derivati da suggestioni che le giungono dalla storia passata.
I fenomeni del glo-fi e della chillwave, dell'hauntology un'ondata di musiche di autori “nuovi” che ha fatto però della nostalgia, del retrò, del vintagismo (prima con focus sugli anni Ottanta, ora anche sugli anni Novanta), il proprio credo estetico confermano questo.
La cosa, soprattutto sonorità che riprendono wave, dream pop e shoegazing, mi coinvolge parecchio, ma cosa resterà per gli hauntology di domani, e cosa resterà della musica come forza propulsiva e produttrice di novità?
Dal punk del 1977, dal “No future” di Sid Vicious sono sorti il post-punk e la new wave con il loro disperato narrare la fine della società industriale, la fine del welfare e con questo l' inizio della fine di quella cultura della disoccupazione che era la base di molta musica indipendente. I ravers forse sono stati l'ultima forma di quella “cultura della disoccupazione” con il loro “24 hours party”. Il loro ritorno a casa è stata forse l'ultima deriva collettiva, con le cuffie piene di elettronica d'ascolto riversata nelle camere da letto e nella rete.
Il canto del cigno della scena rave con tutte le sue derivazioni è il sound “burialiano”, che sembra essere il requiem dell'euforia dell'era elettronica, la descrizione del ritorno alle vite individuali dopo lo sballo di un intera generazione.
Abbiamo seguito la "nuova onda" del post punk, abbiamo seguito onda elettronica del post-rave, ma ora, cosa spinge alla deriva collettiva, cosa comunica con quel parlato interiore che chiamiamo profondità, cosa porta a riconoscersi culturalmente sulla base della musica o della poesia e non sulla squadra di calcio o sull'etnia. Forse questo è tempo di risacca, del tornare indietro, dell'accumulo di esperienze, della goccia che arranca alla ricerca del fluire della corrente.
Il fatto nuovo è che non c'è più la bussola, che la tentazione a perdersi nell'infinita memoria sonora a disposizione di tutti è forte. E' vero che da queste risacche proliferano miriadi di rigagnoli, sottogeneri che comunicano traiettorie inedite, ma non sono ancora onda che pratica formattazione e nuova partenza. La zattera del naufrago nell’oceano di suono, continua a vagare nelle scie sonore dove più dolce è la deriva, pronta a trasformarsi in surf a cavallo della prossima onda anomala.

martedì 2 agosto 2011

Domenica 31 luglio: Get Well Soon e The Divine Comedy

Sexto 'Nplugged 2011- Sesto al Reghena


...sento vibrare in me tutte le passioni d'un vascello che dolora,
il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi

sull'immenso abisso mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia,
grande specchio della mia disperazione!

Estratto da “la musica” di Charles Baudelaire

C'è chi ha passato buona parte dell'adolescenza a esternare i propri sentimenti nelle pagine di un diario, a riempirlo di citazioni poetiche dei maledetti, di foto ritagliate dei cantori della propria malinconia. E naturalmente ha cominciato a riempire di suoni struggenti la propria vita.
Per questo tipo di sensibilità, la serata di domenica 31 luglio al Sexto 'Nplugged era una tappa obbligata. Per la mia generazione quella sensibilità si chiamava “dark”, ma andava ben oltre, anzi ripudiava i teschi, crocifissi esibiti, le nere pelli e i capelli arruffati.
Probabilmente, anche i due musicisti che si sono esibiti stasera hanno questo percorso in comune. Sia Neil Hannon, o meglio, Divine Comedy che Kostantin Gropper o meglio Get Will Soon si presentano come romantici introspettivi, che hanno scelto la via della musica e della poesia per curare la loro anima ferita. Ma sono troppo timidamente sinceri per mostrare sfacciatamente questa vocazione.

Inizia Get Will Soon dapprima solo con la chitarra, poi con una vera e propria band e ci ammalia con i pezzi dei suoi due album, ma soprattutto dell'ultimo “Vexations”. Le coordinate sonore sono quelle del miglior Matt Elliott e dal vivo le sue songs diventano ancora più intense, tanto da sperare che l' augurio “Get Will Soon” del suo nome ovvero “guarisci presto” non s'avveri, e possa continuare a darci sofferte e intense canzoni come quelle che abbiamo sentito stasera.
Nonostante gran parte del pubblico sia qua per The Divine Comedy dopo un ‘ ora di concerto viene chiesto a gran voce il bis e Kostantin torna sul palco per altri due pezzi visibilmente emozionato per l’accoglienza.
Un esibizione veramente sopra ogni aspettativa.

Tocca a The Divine Comedy e sul palco restano solo una chitarra e il pianoforte.
Neil Hannon arriva accompagnato da un lungo applauso di chi probabilmente è cresciuto facendosi illudere sull'amore da canzoni come le sue. E’ solo ma con due calici in mano, uno con dell’acqua che puntualmente sputa e l’altro con del vino che beve con gusto, del resto siamo nel territorio del Lison- Pramaggiore ed è giusto rendere omaggio. Sembra piuttosto su di giri, ride e scherza e forse quei calici centrano qualcosa.
Si alterna tra chitarra e pianoforte e canta tutti gli anni passati a estraniarsi dalla realtà, attraversando la sua nutrita discografia, con un occhio di riguardo all’ultimo album 'Bang Goes the Knighthood' uscito lo scorso anno.
Il suo pop barocco risente della mancanza di un’orchestra, ma la cornice del festival è talmente evocativa che ci si lascia trasportare comunque dalle note di canzoni di un songwriter sempre ispirato.

Nonostante da tempo non frequenti questo genere di musiche, coinvolto in altri suoni che cercano nuove e meno frequentate tendenze, devo ammettere che queste canzoni si adattano perfettamente all'acustica perfetta, all'ambientazione meravigliosa di questo luogo senza tempo.