lunedì 25 novembre 2013

Suggestioni Footwork

 
Premessa: non sono un grande appassionato di musica dance, non lo sono mai stato, ma ho sempre seguito alcune parabole delle scene più underground, quelle che nascono in strada, attraverso le radio pirata, attraverso i desideri di cambiamento. Quindi non troverete esaustive mappe, ne approfondite analisi ma sensazioni e suggestioni ... poi se ci sono produttori come Mike Paradinas, Mark Pritchard o Kode9 at the controls ed label come Planet Mu, Warp o Hyperdub a produrre la mia curiosità si accende inevitabilmente.














Il Footwork è stato il più chiacchierato genere di musica dance d'avanguardia degli ultimi anni. La discussione su questo genere musicale si è incentrata su una contraddizione: il fatto che il footwork è da molti dichiarato imballabile. Non è cosa nuova che un certo tipo di musica dance sia considerata imballabile. Era successo per esempi negli anni '90 con il cosiddetto drill'n'bass e non a caso uno dei più grandi di quel trend è oggi uno dei più grandi sostenitori e produttori del footwork: Mike Paradinas con la sua label Planet Mu.
Dove risiede la novità del Footwork allora?
In molti lo hanno paragonato alla Jungle che era in gran parte una conseguenza della diffusa disponibilità della tecnologia del campionamento digitale, che ha facilitato sia nuovi suoni che nuovi modi di trattamento del suono (il breakbeat, i tempi spezzati, le voci campionate) e rompeva attraverso una psichedelia ritmica, composta da spirali e vortici di suoni, le meccaniche rigide della techno. La Jungle era questa rottura ma era anche buia, umida, viscosa e avvolgente.
E 'qui che il contrasto con il Footwork diventa evidente. Per coloro che si sono formati con la jungle negli anni novanta, il footwork può inizialmente sembrare infatti essiccato di quell'elemento grasso, melmoso essenziale per la jungle, come per lo UK garage e il dubstep : il suono dei bassi. Qui il suono del basso invece di funzionare come un elemento liquido scuro e ribollente, diventa una serie di coltellate e colpi che aumenta e diminuisce la tensione, senza mai lasciarlo affondare.
Un'altra differenza con la jungle e in generale con le tendenze delle nuove musiche che utilizzano le sempre più sofisticate tecnologie digitali per levigare alcune delle linee più aspre che erano caratteristiche della computer music degli albori, è che il Footwork ha invece deliberatamente optato per ampliarne la spigolosità.
Il Footwork è come fissare una GIF animata che coglie con estrema precisione le ripetizioni a scatti. Le GIF animate e il Footwork hanno in comune la critica dell'estetica dominante della cultura digitale ovvero il rifiuto delle false promesse del capitalismo comunicativo che predica il fluire delle informazioni su un spazio perfettamente liscio. Se gli anni novanta sono stati definiti dal loop (l'infinito breakbeat perfettamente in loop, come nel Goldie di Timeless) ora il Footwork con la sua balbuzia, i suoi tempi frustrati rappresenta la inquietante paura di essere catturato nel fluire del tempo-trappola.
Quella frustrazione può suonare come una selva impenetrabile di ritmi, fatta di spasmi e insidie, ma dove la voce, sembra spesso stranamente dolce e malinconica. Le voci , il modo in cui sono fatte a balbettare sembrano il sintomo della fragilità della psicosfera nel tempo della sovra stimolazione semiotica. E' lo stesso tipo di tristezza spersonalizzata che potremmo sentire se siamo capitati su foto instgram pubblicate da una persona sconosciuta, e di cui non ricordiamo niente. Il modo in cui le voci sono fatte ripetere e balbettare riflette la tristezza di riconoscere un soggetto parlante (noi stessi) nella morsa di automatismi fuori dal nosro controllo, del fluire algoritmo della rete.
Il Footwork indaga i vicoli ciechi della nostra condizione del 21° secolo con una precisione e una compassione che pochi altri generi possono vantare, ma ancora più importante, egli suggerisce che, esistono vie di fuga e che potremmo ancora essere liberi di ballare, ma fuori dal tempo-trappola della competizione.

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