Leggo su Repubblica: “Instagram,
le immagini sostituiranno le parole”.
E penso: E’ probabile, immagini perfette, ritoccate con
Photoshop al posto giusto, pose da Vip postate da star e da perfetti sconosciuti.,
tramonti, paesaggi, animali domestici e oggetti levigati e lisci invadono già
la rete. E’ la democrazia dell’estetica digitale. Mah, sarà, però a me provoca
una certa inquietudine.
Qualche anno fa la pubblicità di una nota casa
automobilistica diceva più o meno così:
“Cosa c'è di meglio che amare i propri piccoli difetti?”
Risposta lapidaria: “Non averne nessuno”.
Il linguaggio pubblicitario può celebrare la perfezione di
sé e dei suoi prodotti senza paura di smentita. Non teme obiezioni: agisce a
senso unico, è autoritario non prevede contraddizioni.
Ma non è il linguaggio pubblicitario che mi interessa qui,
ma il culto della perfezione che un simile slogan esprime e che viene propagato
anche in rete e nei social network. E mi stupisce che tale presunta perfezione
possa essere spacciata come segno di valore, come qualità invidiabile.
Poi mi chiedo se questa assenza di difetti venga ricercata
anche in musica. Del resto coloro pubblicano le loro ritoccate e perfette foto
e che hanno il maggior numero di follower sono le star musicali, e questo nonostante
le immagini di Instagram non abbiano suono, nemmeno quello delle dita su una
tastiera.
Ormai sempre più spesso ci capita di ascoltare e vedere , in
esibizioni televisive e non, performance di cantanti perfetti/e che rifanno
vecchie hit, cover-musici che migliorano tecnicamente l'originale. Usano la
musica come un programma di fotoritocco.
Attenzione non parlo solo i talent show dove le fredde
pianificazioni commerciali sono evidenti, ma anche del locale sotto casa, del
club “alternativo” dove si preferisce l' asettica perfezione di una cover band
(sembrano gli originali, anzi forse meglio, si dice) all'espressione vitale ma
rischiosa di nuove sonorità. Saranno perfetti, non c'è che dire, ma anche
equivalenti,sostituibili. In una parola sono superflui.
A me invece continuano a piacere soprattutto le musiche che
mostrano le crepe, che scavano in profondo, che esibiscono le loro mancanze.
Suoni oscuri e introspettivi, suoni sintomo di conflitti
irrisolti con il mondo e con se stessi.
Ecco che l'imperfezione diventa plusvalore, tensione,
ricerca, trascendenza, rivolta.
Qualche anno fa’ la glitch music usava l’errore digitale come
parte integrante delle composizioni.
E' interessante notare come in ambito
underground il rumore e l'imperfezione,
un tempo osteggiato e vilipeso e considerato vera e propria anti-musica, sia
diventato dopo la glitch music importante anche nella musica modern classic,
sia adottato dagli sperimentatori legati all'elettronica, da qui sia transitato
via via verso le nuove sonorità quali la post dubstep, il future garage, la
witch house fino all'ambient music.
La precarietà del reale è infatti
difficilmente rappresentabile nello spazio liscio e liquido della rete e
nonostante il successo di social come Instagram se non emerge pure lì il
marciume digitale, i rumori metropolitani, i frammenti della vocalità meticcia questi diventano pellicola
insensibile.
Lo scambio simbolico avviene
spesso senza empatia. Per interfacciarsi in connessione occorre perfetta
compatibilità e spesso non viene tollerata l'imperfezione della presenza in carne e ossa.
Lo scambio empatico richiede
tempo e sensibilità e soprattutto ascolto sotto la superficie dell'astratta
perfezione di un algoritmo matematico.
Ecco perchè per ridare calore e
empatia al suono è forse il caso di
ricercare la “difficile”, complicata,
malinconoiosa musica che da sempre racconta le inquietudini del presente ma che
sa contemporaneamente riattivare
passioni mai sopite.
Magari usando gli occhi e le
orecchie per guardare e sentire dentro il mistero dell'imperfetta complessità
della vita.
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