La musica elettronica è stata sempre attratta dall'idea di
"futuribile" e questo ha
permeato le scene che si sono succedute come in un terreno di avanzamento progressivo dove le "macchine “ per produrre musica si evolvevano con il progredire tecnologico.
Negli anni '70, 'futuristico' significava sintetizzatori.
Negli anni '80, significava sequencer e cut & past. Negli anni '90,
significava i suoni digitali astratti prodotti da software sempre più
sofisticati. In ognuno di questi casi, c'era la sensazione che saremo entrati in un suono completamente
diverso da tutto ciò che avevamo in precedenza
sperimentato. Oggi se
'futuristico' ha ancora un significato, è diventato sinonimo di uno
stile formattato, un po' come dire 'gotico' nel font
di scrittura . 'Futuristico' significa semplicemente qualcosa di
elettronico.
L’elettronica che fino agli anni 90 si poteva definire per
quanto detto qui sopra detto futuristica,
oggi sembra voler rappresentare il
fallimento del futuro. Questo sentimento di lutto per il futuro perduto
con i dischi di Burial è diventato esplicito.
Dentro il suono “burialiano” si ha una sensazione di abbandono e
spettralità, il futuro perduto infesta il presente morto, e questa percezione
ha influenzato molto del suono attuale. L'etichetta hyperdub, la stessa che ha
prodotto i dischi di Burial, è guidata da Kode 9 che sua volta ha intitolato il suo disco
d'esordio programmaticamente “Memories
of the future”, per non parlare dell'
approccio ancor più diretto di un'altro artista tra i più interessanti in
circolazione : Zomby che domanda in un suo brano "Dove eravate nel
92?".
Non si tratta solo di nostalgia per il passato - gli anni
'90 sono stati probabilmente la fine di un processo che ha avuto inizio con il
rapido sviluppo del settore della registrazione dopo la seconda guerra
mondiale- ma soprattutto di un sentore. Marshall
McLuhan definisce, nel suo libro “Gli strumenti del comunicare”, gli artisti
come radar che hanno la capacità di percepire a distanza, cioè di anticipare
mutamenti che si stanno preparando nell'immaginario collettivo.
Ultimamente l'emozione che suscitano molti dei suoni che amo
derivano dalla percezione di un lato oscuro, di un lato apocalittico, che si
può leggere come decadente cinismo o come sperimentazione di stati mentali
disponibili a vivere senza l'orizzonte del futuro. Io propendo per la seconda
opzione.
Le generazione del precariato è la prima che vede il futuro
come una minaccia, e forse quello che a noi pare un appiattimento è invece il
lento formarsi di un'altra percezione del tempo, una percezione combinatoria e
non lineare. Forse il suono sta diventando capace di concepire
contemporaneamente diversi piani dell'esperienza, passata, presente e futura e
di convivere con apparati tecnologici ipercomplessi e iperveloci, insomma di
avere una percezione non storica della temporalità.
Forse la mancanza di futuro ha attivato pratiche
sperimentali per cercare di sovvertire il ritmo forsennato della
socializzazione digitale, sempre propensa all'infinita crescita e
velocizzazione delle informazioni, anche musicali.
Nell'allungamento e appesantimento dei bassi, nei ritmi
interrotti, nei cripetii dei residui elettronici, nelle interferenze digitali,
nelle voci frammentate che sembrano venire
dall'orlo dell'abisso c è tutta la sofferenza e lo spaesamento di una
generazione, ma c'è anche e soprattutto il desiderio di sottrazione ed
autonomia dall'ipersfruttamento della precarietà.
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