Ho avuto una visione l’altro giorno.
Dovuta al caldo, forse...
Era un’orribile giorno al calor bianco, un’afoso giorno come tanti altri nella padania orientale.
Stavo camminando in quei non-luoghi fatti di asfalto, tipo centri commerciali, parcheggi con cartelloni pubblicitari rotanti, vetrine che riflettono il sole accecante, insomma quei posti che nei festivi diventano “alternativi” alle lunghe code verso il mare.
Ma la cosa peggiore era la musica, orribile, specchio di un mondo dove le uniche cose a durare più di una canzone di Antonacci sono guerre e carestie. E quando gli altoparlanti ripetono qualche radio è anche peggio: alternano musica inascoltabile a inutili speaker gossippari. Mi sento soffocare e decido di accelerare il passo per scappare da lì.
Ad un tratto giro in una stradina di campagna, mentre l’aria rinfresca e la luce lascia spazio alla penombra della sera riflessa nel largo canale. Sono circondato da querce per le ghiandaie, noccioli per i moscardini, biancospini per i merli, ontani per i lucherini e poi carpini, frassini, salici per i picchi ...
Ed è subito un altro vivere. C’è musica nell’aria, un suono che mi ricorda emissioni notturne di tanto tempo fa.
Quel suono dell’anima che non riesco mai ad riascoltare perché invaso dal "troppo" attuale.
Intro romantico affidato al solo pianoforte, dalla quale lentamente emerge una breve ossessiva melodia sulla quale si aggiungono il clarinetto, un decadente coro di tastiere ed, ultima, la voce a cavalcare una armonia che cattura.
Voci e suoni amici, conforto di un passato pieno e di un futuro aperto. Il paradiso insomma.
Da non muoversi più da qui.
Ma ecco proprio sul più bello sento una botta sulla spalla e il brutto concerto di chiacchiericcio, di “one nation one station”, di clacson, di rombi di motore e voci incazzate ricomincia: “Ecco il tuo solito mondo di merda”.
Quella breve ed intensa visione ora mi sfugge, ma il suono attraverso la quale è apparsa rimane:
Dovuta al caldo, forse...
Era un’orribile giorno al calor bianco, un’afoso giorno come tanti altri nella padania orientale.
Stavo camminando in quei non-luoghi fatti di asfalto, tipo centri commerciali, parcheggi con cartelloni pubblicitari rotanti, vetrine che riflettono il sole accecante, insomma quei posti che nei festivi diventano “alternativi” alle lunghe code verso il mare.
Ma la cosa peggiore era la musica, orribile, specchio di un mondo dove le uniche cose a durare più di una canzone di Antonacci sono guerre e carestie. E quando gli altoparlanti ripetono qualche radio è anche peggio: alternano musica inascoltabile a inutili speaker gossippari. Mi sento soffocare e decido di accelerare il passo per scappare da lì.
Ad un tratto giro in una stradina di campagna, mentre l’aria rinfresca e la luce lascia spazio alla penombra della sera riflessa nel largo canale. Sono circondato da querce per le ghiandaie, noccioli per i moscardini, biancospini per i merli, ontani per i lucherini e poi carpini, frassini, salici per i picchi ...
Ed è subito un altro vivere. C’è musica nell’aria, un suono che mi ricorda emissioni notturne di tanto tempo fa.
Quel suono dell’anima che non riesco mai ad riascoltare perché invaso dal "troppo" attuale.
Intro romantico affidato al solo pianoforte, dalla quale lentamente emerge una breve ossessiva melodia sulla quale si aggiungono il clarinetto, un decadente coro di tastiere ed, ultima, la voce a cavalcare una armonia che cattura.
Voci e suoni amici, conforto di un passato pieno e di un futuro aperto. Il paradiso insomma.
Da non muoversi più da qui.
Ma ecco proprio sul più bello sento una botta sulla spalla e il brutto concerto di chiacchiericcio, di “one nation one station”, di clacson, di rombi di motore e voci incazzate ricomincia: “Ecco il tuo solito mondo di merda”.
Quella breve ed intensa visione ora mi sfugge, ma il suono attraverso la quale è apparsa rimane:
Suono: Minox - Psiche
Foto: Danilo Gaiotto
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