T:“Ho sentito che fai una trasmissione radio”
A:“Sì, faccio una trasmissione musicale”
T:“Ma metti solo la musica o parli anche?”
A:“Parlo, sì insomma, intervengo al microfono”
T:“E di cosa parli?”
A.“Del suono che propongo”
T:“Strano”
Qualche tempo fa era normale che in una trasmissione musicale si parlasse di musica, anzi si cercavano atmosfere nelle emissioni in etere e consigli per gli ascolti dal conduttore, ora questo sembra strano.
Oggi i ragazzi che pubblicano via rete le proprie scalette musicali, mixate o meno (soundcloud, spotify, webradio) non si contano. Buon segno. Segno che il suono ha ancora un certo appeal in questo martoriato paese. Il problema è che tutti quanti, dai più maturi fino a i più giovani non sappiamo più cosa dire della musica. Non sappiamo cosa sia l'oggetto che trattiamo, ascoltiamo qualcosa di terribile o di sublime, ma non sappiamo più cosa dire. Spalanchiamo la bocca ma non ne esce suono.
Siamo dispersi nell'infinito fluire di suoni e ci sentiamo incapaci di definirli, di dare loro una connotazione, un scena che racconti la loro genesi. Le onde sonore non hanno più una traiettoria da raccontare, perchè l'oceano di suono è frastagliato e burrascoso.
Nell'ipervelocità del flusso al massimo riusciamo a cliccare un “mi piace”sui social network dove la critica non è concessa.
E' forse questa formattazione comunicativa assieme all'infinità e dispersione sonora a zittirci?
Chi parla in radio, spesso parla di altro e usa la musica come intermezzo tra un gossip e una pubblicità, tra una notizia meteo e una “divertente” in un continuum descrittivo di una realtà (vera o virtuale è lo stesso) immodificabile. Oppure, nel migliore dei casi, si racconta il passato: l'epica storia della musica.
Io, da parte mia mi limito ad una constatazione. Banale e ovvia, se volete, ma in qualche misura necessaria: la musica per parlarci ancora deve intrigare, emozionare e per far questo deve saper creare realtà altre, oblique, non omologate. Se sta dentro ai canoni pubblicitari e gossipari non fa altro che obbedire e spacciare realtà consolidate e niente più.
Resta un interrogativo: come scegliere e raccontare un suono che produce immaginari altri, sensi obliqui?
Rischiando di essere parziali (e come non esserlo), indagando dentro alla complessità dell'oggi, essendo incompatibili con gli standard radiofonici, forzando un pensiero disomogeneo e non omologato attraverso la musica e il suo racconto.
Se questo sia ancora possibile e abbia ancora un senso non lo so.
Magari lo scopriremo assieme.
Almeno lo spero!
A:“Sì, faccio una trasmissione musicale”
T:“Ma metti solo la musica o parli anche?”
A:“Parlo, sì insomma, intervengo al microfono”
T:“E di cosa parli?”
A.“Del suono che propongo”
T:“Strano”
Qualche tempo fa era normale che in una trasmissione musicale si parlasse di musica, anzi si cercavano atmosfere nelle emissioni in etere e consigli per gli ascolti dal conduttore, ora questo sembra strano.
Oggi i ragazzi che pubblicano via rete le proprie scalette musicali, mixate o meno (soundcloud, spotify, webradio) non si contano. Buon segno. Segno che il suono ha ancora un certo appeal in questo martoriato paese. Il problema è che tutti quanti, dai più maturi fino a i più giovani non sappiamo più cosa dire della musica. Non sappiamo cosa sia l'oggetto che trattiamo, ascoltiamo qualcosa di terribile o di sublime, ma non sappiamo più cosa dire. Spalanchiamo la bocca ma non ne esce suono.
Siamo dispersi nell'infinito fluire di suoni e ci sentiamo incapaci di definirli, di dare loro una connotazione, un scena che racconti la loro genesi. Le onde sonore non hanno più una traiettoria da raccontare, perchè l'oceano di suono è frastagliato e burrascoso.
Nell'ipervelocità del flusso al massimo riusciamo a cliccare un “mi piace”sui social network dove la critica non è concessa.
E' forse questa formattazione comunicativa assieme all'infinità e dispersione sonora a zittirci?
Chi parla in radio, spesso parla di altro e usa la musica come intermezzo tra un gossip e una pubblicità, tra una notizia meteo e una “divertente” in un continuum descrittivo di una realtà (vera o virtuale è lo stesso) immodificabile. Oppure, nel migliore dei casi, si racconta il passato: l'epica storia della musica.
Io, da parte mia mi limito ad una constatazione. Banale e ovvia, se volete, ma in qualche misura necessaria: la musica per parlarci ancora deve intrigare, emozionare e per far questo deve saper creare realtà altre, oblique, non omologate. Se sta dentro ai canoni pubblicitari e gossipari non fa altro che obbedire e spacciare realtà consolidate e niente più.
Resta un interrogativo: come scegliere e raccontare un suono che produce immaginari altri, sensi obliqui?
Rischiando di essere parziali (e come non esserlo), indagando dentro alla complessità dell'oggi, essendo incompatibili con gli standard radiofonici, forzando un pensiero disomogeneo e non omologato attraverso la musica e il suo racconto.
Se questo sia ancora possibile e abbia ancora un senso non lo so.
Magari lo scopriremo assieme.
Almeno lo spero!
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