Non mi spaventa la rete ma l'uso che ne facciamo
L’ossessiva evocazione dell’ “orizzontalità della rete” come risoluzione di tutti i mali, il ritenere la connessione alle nuove tecnologie 24 ore su 24 con il flusso continuo di “notizie” e messaggi la sentinella della verità, non mi convince, anzi mi ha fatto tornare alla mente dei fatti che mi accadono da qualche tempo.
Nei concerti, anche nei più immersivi, nei più emozionanti, anche in quelli che si dovrebbero seguire seduti in totale silenzio, la maggior parte degli spettatori si alza munita di smartphone, si sposta dalla poltrona, e sempre più spesso si dedica a condividere foto/video dell'evento sui social network.
Nulla di male per carità.
Solo che un tempo vedere e sentire un certo tipo di concerti richiedeva preliminarmente di mettere il proprio corpo/mente in setting, prevedeva una necessaria disciplina per godere appieno del suono e della performance. A sentire era il corpo tutto nella sua complessità.
Ora non è più così.
Sembra quasi sia più importante la condivisione virtuale che il godimento reale dell’esperienza.
La diffusione dei dispositivi multimediali rende “indisciplinato” il corpo/mente dello spettatore , gli fa sentire intollerabile l'assenza di connessione prolungata, legittima la sua distrazione e il desiderio di esperienze sovrapposte all'ascolto.
Questo succede anche per l'ascolto casalingo e a volte sembra che molti “dischi” prevedano a priori un ascolto intermittente. Molte opere sonore pare siano disposte a farsi fruire come flussi, da perdere e ritrovare ogni volta che si desidera.
Le connessioni cronologiche di un album (soprattutto nella musica elettronica) sono sparite, sono spariti gli album con la loro capacità di raccontare storie di gioie e sofferenze, tanto che spesso sembrano restare solo le insofferenze.
L’insofferenza verso l’ascolto, verso il godimento del tempo, verso il piacere del lento fluire delle passioni, verso la complessità del reale.
O forse siamo noi che dobbiamo imparare di nuovo a rilassare il corpo e liberare la mente da una rete che sempre più spesso si fa ragnatela.
L’ossessiva evocazione dell’ “orizzontalità della rete” come risoluzione di tutti i mali, il ritenere la connessione alle nuove tecnologie 24 ore su 24 con il flusso continuo di “notizie” e messaggi la sentinella della verità, non mi convince, anzi mi ha fatto tornare alla mente dei fatti che mi accadono da qualche tempo.
Nei concerti, anche nei più immersivi, nei più emozionanti, anche in quelli che si dovrebbero seguire seduti in totale silenzio, la maggior parte degli spettatori si alza munita di smartphone, si sposta dalla poltrona, e sempre più spesso si dedica a condividere foto/video dell'evento sui social network.
Nulla di male per carità.
Solo che un tempo vedere e sentire un certo tipo di concerti richiedeva preliminarmente di mettere il proprio corpo/mente in setting, prevedeva una necessaria disciplina per godere appieno del suono e della performance. A sentire era il corpo tutto nella sua complessità.
Ora non è più così.
Sembra quasi sia più importante la condivisione virtuale che il godimento reale dell’esperienza.
La diffusione dei dispositivi multimediali rende “indisciplinato” il corpo/mente dello spettatore , gli fa sentire intollerabile l'assenza di connessione prolungata, legittima la sua distrazione e il desiderio di esperienze sovrapposte all'ascolto.
Questo succede anche per l'ascolto casalingo e a volte sembra che molti “dischi” prevedano a priori un ascolto intermittente. Molte opere sonore pare siano disposte a farsi fruire come flussi, da perdere e ritrovare ogni volta che si desidera.
Le connessioni cronologiche di un album (soprattutto nella musica elettronica) sono sparite, sono spariti gli album con la loro capacità di raccontare storie di gioie e sofferenze, tanto che spesso sembrano restare solo le insofferenze.
L’insofferenza verso l’ascolto, verso il godimento del tempo, verso il piacere del lento fluire delle passioni, verso la complessità del reale.
O forse siamo noi che dobbiamo imparare di nuovo a rilassare il corpo e liberare la mente da una rete che sempre più spesso si fa ragnatela.
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