The way of sound
Nel mediascape, nelle elite economiche e finanziarie domina la paura del contagio.
Nel mediascape, nelle elite economiche e finanziarie domina la paura del contagio.
Ora soprattutto quello
della crisi economica, ma prima c'erano stati altri contagi, altri
elementi estranei da evitare.
Ma il bacillo più pericoloso da sempre è quello delle idee, quello culturale, quello che attecchendo cambia il soggetto arrivando a modificarne la visione del mondo.
Occupandomi di musica, che da sempre è fatta di contaminazioni, non posso che provare un certo fastidio.
Nel suono attuale poi la disposizione al contagio è totale, la versione definitiva e unica di un brano non esiste più, ed è normale che un pezzo abbia svariate versioni.
Uno dei gruppi pop per eccellenza, i Radiohead, ha pubblicato, per esempio, un serie infinita di remix del loro ultimo album, contagiandosi con le svariate facce del suono underground, fino ad arrivare alla pubblicazione del recente doppio cd che raccoglie molte di queste versioni.
Perfino la cosiddetta “musica colta” si è ibridata con quella più “pop” e i confini tra alta e bassa sono quasi svaniti, basti pensare alla “modern classic” dove musicisti con formazione classica ci deliziano con splendidi esempi di ambient music vicina alle nuove vie del suono elettronico.
Ormai molti artisti mettono a disposizione in rete la scatola di montaggio dei loro brani per farli rimontare in svariati modi.
E in rete prolifera il mash-up: un modo di dire Creolo che ci parla di fare ibridazione, poltiglia, distruzione creatrice di nuovi incroci e contagi.
Insomma i consumatori di suoni non sono più tali, e iniziano a considerare le opere non più fisse o immutabili, ma cominciano a sperimentare il gusto di avere un certo controllo su di esse.
Questo nuovo paesaggio invita a abbandonare il mondo in cui ognuno sta passivamente al suo posto e inizia a sviluppare il gusto del coinvolgimento attivo e soprattutto non concepisce la proprietà esclusiva di un’opera.
Il contagio è bello e vissuto come condivisione, come cambiamento e apertura, come pratica comune.
Ed è forse questo che fa più paura.
Ma il bacillo più pericoloso da sempre è quello delle idee, quello culturale, quello che attecchendo cambia il soggetto arrivando a modificarne la visione del mondo.
Occupandomi di musica, che da sempre è fatta di contaminazioni, non posso che provare un certo fastidio.
Nel suono attuale poi la disposizione al contagio è totale, la versione definitiva e unica di un brano non esiste più, ed è normale che un pezzo abbia svariate versioni.
Uno dei gruppi pop per eccellenza, i Radiohead, ha pubblicato, per esempio, un serie infinita di remix del loro ultimo album, contagiandosi con le svariate facce del suono underground, fino ad arrivare alla pubblicazione del recente doppio cd che raccoglie molte di queste versioni.
Perfino la cosiddetta “musica colta” si è ibridata con quella più “pop” e i confini tra alta e bassa sono quasi svaniti, basti pensare alla “modern classic” dove musicisti con formazione classica ci deliziano con splendidi esempi di ambient music vicina alle nuove vie del suono elettronico.
Ormai molti artisti mettono a disposizione in rete la scatola di montaggio dei loro brani per farli rimontare in svariati modi.
E in rete prolifera il mash-up: un modo di dire Creolo che ci parla di fare ibridazione, poltiglia, distruzione creatrice di nuovi incroci e contagi.
Insomma i consumatori di suoni non sono più tali, e iniziano a considerare le opere non più fisse o immutabili, ma cominciano a sperimentare il gusto di avere un certo controllo su di esse.
Questo nuovo paesaggio invita a abbandonare il mondo in cui ognuno sta passivamente al suo posto e inizia a sviluppare il gusto del coinvolgimento attivo e soprattutto non concepisce la proprietà esclusiva di un’opera.
Il contagio è bello e vissuto come condivisione, come cambiamento e apertura, come pratica comune.
Ed è forse questo che fa più paura.